Racconti e immagini
06.04.2011: Visita guidata alla mostra "Melozzo fa Forlì, l'umana bellezza tra Piero della Francesca e Raffaello"
Percorso: dopo la mostra visita guidata alla Basilica del santo taumaturgo S. Pellegrino con monumento a Luffo Numai e Sala del Capitolo; poi altri angoli della città.
Partenza: ritrovo a Forlì alle ore 14:30 davanti alla COOP di Schiavonia
Referenti: Rosanna, Gigi Graziani, Raul
Percorso: dopo la mostra visita guidata alla Basilica del santo taumaturgo S. Pellegrino con monumento a Luffo Numai e Sala del Capitolo; poi altri angoli della città.
Partenza: ritrovo a Forlì alle ore 14:30 davanti alla COOP di Schiavonia
Referenti: Rosanna, Gigi Graziani, Raul
FORLÌ alla mostra su "MELOZZO", palazzo della Missione e S Pellegrino
Ben in 58 abbiamo raggiunto i Musei del S. Domenico, per goderci la Mostra dedicata a "Melozzo - L'umana bellezza, tra Piero della Francesca e Raffaello". Con questa esposizione, Forlì ha inteso celebrare il suo artista più famoso, raccogliendo per la prima volta la gran parte delle sue opere "mobili", e conducendo una riflessione sul suo ruolo centrale nel Rinascimento italiano. Melozzo degli Ambrogi (1438-1494) si era presto allontanato da Forlì per attingere ai centri più vitali dell'arte: Padova, Urbino e Roma, dove sarebbe divenuto l'artista di punta negli anni dei pontificati di Pio II e Sisto IV, fino a meritarsi il titolo di Pictor papalis.
La conoscenza di Mantegna e soprattutto di Piero della Francesca lo aveva portato ad aderire all'uso della prospettiva matematica, per poi intraprendere, a partire dal grandioso affresco nell'abside della chiesa dei Santi Apostoli a Roma (1472-1474), una personale ricerca sulla bellezza della figura umana. È per questo che si afferma che "senza Melozzo difficilmente si spiegherebbe Raffaello" (Antonio Paolucci). Le nostre guide (Serena Togni e Lisa Rodi) ci hanno descritto che la mostra approfondisce la figura di Melozzo nella sua dimensione dimensione innovativa. Da un lato la matematica dello spazio pittorico di Piero della Francesca e dall'altro la bellezza ideale di Raffaello, quale punto d'arrivo di una ricerca alla quale Melozzo diede un contributo importante.
Per documentare il percorso compiuto da Melozzo, la mostra affianca alle sue opere capolavori degli artisti con cui venne in contatto nel corso della sua formazione, da Mantegna a Piero della Francesca, a Bramante, a Pedro Berruguete, questi ultimi conosciuti a Urbino. Ne segue poi l'attività a Roma, dapprima ai Santi Apostoli e poi nella Biblioteca Vaticana (Sisto IV nomina il Platina Prefetto della biblioteca, 1475, di cui in mostra c'è il grandioso dipinto, cuore della mostra), affiancandole le opere degli artisti con cui venne in contatto nella città dei papi, da Beato Angelico a Mino da Fiesole e Antoniazzo Romano. A Roma, Melozzo si trovò altresì impegnato nella riproduzione di immagini sacre di antica devozione, (tra cui il Salvatore della Galleria Nazionale di Urbino, esposto in mostra); nello stesso tempo, forte dell'appoggio della famiglia Riario, diede voce alle ambizioni culturali della corte pontificia, che richiamava in quegli anni artisti da tutta Italia, tra i quali Ghirlandaio, Perugino, Botticelli. Di questi sono presentate in mostra importanti testimonianze, da cui si vede -attraverso arredi, paramenti liturgici e codici miniati- lo sfarzo straordinario dell'arte papale.
Dopo i lavori nella sagrestia di San Marco a Loreto (1484-1493), lasciata inspiegabilmente incompiuta, Melozzo fece ritorno a Forlì, dove lavorò nella cappella Feo in San Biagio, distrutta con i bombardamenti dell'ultima guerra.
Dopo l'omaggio alla bellezza, ci trasferiamo in un'altra parte della città.
Vediamo 2 edifici intorno a piazza Giovanbattista Morgagni (1682-1771, medico e scienziato, considerato il padre della moderna anatomia patologica). Il Palazzo della Missione, sorto nel 1713 come Convento dei Signori della Missione, una istituzione educativa vicina al movimento di S. Vincenzo De' Paoli. In seguito divenne edificio scolastico, poi Pinacoteca, e ora sede della provincia. All'ingresso ci accoglie una targa su marmo dedicata al pittore Melozzo. Noi ci soffermiamo nell'ampio cortile interno e nell'ex chiesa, ora ristrutturata a sede del Consiglio Provinciale: di un certo rilievo è la decorazione a stucco, tipica del barocco locale, con lesena paraste (colonne senza struttura portante) e pilastri sormontati da capitelli dorati.
Alle ore 18.15, quando termina la funzione del mercoledì dedicata agli ammalati, ci facciamo trovare davanti al gotico ingresso della BASILICA di S. Pellegrino o Santa Maria dei Servi, elevata da chiesa a Basilica da Paolo VI nel 1976 perché riferita ad una figura e ad un luogo altamente significativi. La storia di Pellegrino Laziosi si intreccia con la storia del 1200, e le lotte delle fazioni ghibelline e guelfe; nella foga di quel clima colpì con uno schiaffo un avversario ma poi se ne pentì ed ebbe inizio la sua nuova vita che, dopo la morte nel 1345, lo vide santo. La chiesa ha dimensioni ampie, circa m. 52 X 25, e conserva opere d'arte significative, di epoche diverse. Dapprima vediamo la ragione principale che ci ha portato qui: il luminoso monumento funebre a Luffo Numai, realizzato nel periodo a cui risalgono la maggior parte delle opere che abbiamo appena visto nella mostra dedicata a Melozzo. Luffo N., letterato e uomo politico nato a Forlì nel 1441, commissionò questo monumento realizzato nel 1502 dall'architetto Fiamberti da Campione e dallo scultore Giovanni Ricci di Sala Comacina: entrambi di formazione lombarda. La parte più interessante del monumento sono i 2 pannelli in bassorilievo: l'Adorazione dei Pastori (con una delicata Madonna di 3/4, 2 cherubini dal volto paffuto, e S. Giuseppe di profilo seduto su di un basto appoggiato a un albero al cui ramo, senza fronde, sono appesi un fagotto e una botticella da viandante) e la Resurrezione di Cristo (molto espressivo, che ricorda tanto lo stesso soggetto rappresentato da Piero della Francesca). Cappella con il corpo di S. Pellegrino. Passiamo al coro ligneo in stile gotico -un unicum nel nostro territorio- e ancora al ciclo pittorico della Via Matris Dolorosae nel presbiterio, realizzato da Paolo Cignani nel XVIII sec. La Sala del Capitolo ci porta all'esterno della chiesa, in un ambiente ancor più antico: una sala quadrangolare con una particolare volta a ombrello. Oltre a 2 Madonne del latte, l'ammirazione va verso l'essenziale Crocifissione del XIV sec. di evidente ispirazione giottesca, attribuita al suo allievo Giuliano da Rimini. A quel Crocefisso è legata la leggenda della guarigione di Pellegrino, e poi il suo affermarsi come Santo taumaturgico.
Il nostro pomeriggio a Forlì è stato molto inteso, dedicato prima di tutto alle espressioni artistiche di fine 1400/inizio 1500, sia in S. Domenico che nella Basilica di S. Maria dei Servi.
Redazione de "il Sentiero.net"
Ben in 58 abbiamo raggiunto i Musei del S. Domenico, per goderci la Mostra dedicata a "Melozzo - L'umana bellezza, tra Piero della Francesca e Raffaello". Con questa esposizione, Forlì ha inteso celebrare il suo artista più famoso, raccogliendo per la prima volta la gran parte delle sue opere "mobili", e conducendo una riflessione sul suo ruolo centrale nel Rinascimento italiano. Melozzo degli Ambrogi (1438-1494) si era presto allontanato da Forlì per attingere ai centri più vitali dell'arte: Padova, Urbino e Roma, dove sarebbe divenuto l'artista di punta negli anni dei pontificati di Pio II e Sisto IV, fino a meritarsi il titolo di Pictor papalis.
La conoscenza di Mantegna e soprattutto di Piero della Francesca lo aveva portato ad aderire all'uso della prospettiva matematica, per poi intraprendere, a partire dal grandioso affresco nell'abside della chiesa dei Santi Apostoli a Roma (1472-1474), una personale ricerca sulla bellezza della figura umana. È per questo che si afferma che "senza Melozzo difficilmente si spiegherebbe Raffaello" (Antonio Paolucci). Le nostre guide (Serena Togni e Lisa Rodi) ci hanno descritto che la mostra approfondisce la figura di Melozzo nella sua dimensione dimensione innovativa. Da un lato la matematica dello spazio pittorico di Piero della Francesca e dall'altro la bellezza ideale di Raffaello, quale punto d'arrivo di una ricerca alla quale Melozzo diede un contributo importante.
Per documentare il percorso compiuto da Melozzo, la mostra affianca alle sue opere capolavori degli artisti con cui venne in contatto nel corso della sua formazione, da Mantegna a Piero della Francesca, a Bramante, a Pedro Berruguete, questi ultimi conosciuti a Urbino. Ne segue poi l'attività a Roma, dapprima ai Santi Apostoli e poi nella Biblioteca Vaticana (Sisto IV nomina il Platina Prefetto della biblioteca, 1475, di cui in mostra c'è il grandioso dipinto, cuore della mostra), affiancandole le opere degli artisti con cui venne in contatto nella città dei papi, da Beato Angelico a Mino da Fiesole e Antoniazzo Romano. A Roma, Melozzo si trovò altresì impegnato nella riproduzione di immagini sacre di antica devozione, (tra cui il Salvatore della Galleria Nazionale di Urbino, esposto in mostra); nello stesso tempo, forte dell'appoggio della famiglia Riario, diede voce alle ambizioni culturali della corte pontificia, che richiamava in quegli anni artisti da tutta Italia, tra i quali Ghirlandaio, Perugino, Botticelli. Di questi sono presentate in mostra importanti testimonianze, da cui si vede -attraverso arredi, paramenti liturgici e codici miniati- lo sfarzo straordinario dell'arte papale.
Dopo i lavori nella sagrestia di San Marco a Loreto (1484-1493), lasciata inspiegabilmente incompiuta, Melozzo fece ritorno a Forlì, dove lavorò nella cappella Feo in San Biagio, distrutta con i bombardamenti dell'ultima guerra.
Dopo l'omaggio alla bellezza, ci trasferiamo in un'altra parte della città.
Vediamo 2 edifici intorno a piazza Giovanbattista Morgagni (1682-1771, medico e scienziato, considerato il padre della moderna anatomia patologica). Il Palazzo della Missione, sorto nel 1713 come Convento dei Signori della Missione, una istituzione educativa vicina al movimento di S. Vincenzo De' Paoli. In seguito divenne edificio scolastico, poi Pinacoteca, e ora sede della provincia. All'ingresso ci accoglie una targa su marmo dedicata al pittore Melozzo. Noi ci soffermiamo nell'ampio cortile interno e nell'ex chiesa, ora ristrutturata a sede del Consiglio Provinciale: di un certo rilievo è la decorazione a stucco, tipica del barocco locale, con lesena paraste (colonne senza struttura portante) e pilastri sormontati da capitelli dorati.
Alle ore 18.15, quando termina la funzione del mercoledì dedicata agli ammalati, ci facciamo trovare davanti al gotico ingresso della BASILICA di S. Pellegrino o Santa Maria dei Servi, elevata da chiesa a Basilica da Paolo VI nel 1976 perché riferita ad una figura e ad un luogo altamente significativi. La storia di Pellegrino Laziosi si intreccia con la storia del 1200, e le lotte delle fazioni ghibelline e guelfe; nella foga di quel clima colpì con uno schiaffo un avversario ma poi se ne pentì ed ebbe inizio la sua nuova vita che, dopo la morte nel 1345, lo vide santo. La chiesa ha dimensioni ampie, circa m. 52 X 25, e conserva opere d'arte significative, di epoche diverse. Dapprima vediamo la ragione principale che ci ha portato qui: il luminoso monumento funebre a Luffo Numai, realizzato nel periodo a cui risalgono la maggior parte delle opere che abbiamo appena visto nella mostra dedicata a Melozzo. Luffo N., letterato e uomo politico nato a Forlì nel 1441, commissionò questo monumento realizzato nel 1502 dall'architetto Fiamberti da Campione e dallo scultore Giovanni Ricci di Sala Comacina: entrambi di formazione lombarda. La parte più interessante del monumento sono i 2 pannelli in bassorilievo: l'Adorazione dei Pastori (con una delicata Madonna di 3/4, 2 cherubini dal volto paffuto, e S. Giuseppe di profilo seduto su di un basto appoggiato a un albero al cui ramo, senza fronde, sono appesi un fagotto e una botticella da viandante) e la Resurrezione di Cristo (molto espressivo, che ricorda tanto lo stesso soggetto rappresentato da Piero della Francesca). Cappella con il corpo di S. Pellegrino. Passiamo al coro ligneo in stile gotico -un unicum nel nostro territorio- e ancora al ciclo pittorico della Via Matris Dolorosae nel presbiterio, realizzato da Paolo Cignani nel XVIII sec. La Sala del Capitolo ci porta all'esterno della chiesa, in un ambiente ancor più antico: una sala quadrangolare con una particolare volta a ombrello. Oltre a 2 Madonne del latte, l'ammirazione va verso l'essenziale Crocifissione del XIV sec. di evidente ispirazione giottesca, attribuita al suo allievo Giuliano da Rimini. A quel Crocefisso è legata la leggenda della guarigione di Pellegrino, e poi il suo affermarsi come Santo taumaturgico.
Il nostro pomeriggio a Forlì è stato molto inteso, dedicato prima di tutto alle espressioni artistiche di fine 1400/inizio 1500, sia in S. Domenico che nella Basilica di S. Maria dei Servi.
Redazione de "il Sentiero.net"
immagini di Massimo Biraghi
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